A causa dell’emergenza sanitaria di questi giorni visitare mostre è fuori discussione. Moltissime gallerie e musei hanno reagito organizzando itinerari virtuali fruibili online direttamente da casa. Non ho però intenzione di soffermarmi su temi quali la smaterializzazione del pubblico o la direzione presa dalla curatela ai tempi del Coronavirus, ma voglio forzare un collegamento a partire dal tema del digitale per parlare di una delle mostre che più mi ha saputo colpire lo scorso anno.
La mostra in questione è Training Humans, curata da Kate Crawford e Trevor Paglen, tenutasi all’Osservatorio di Fondazione Prada fino al 24 febbraio 2020. La particolarità di questa esposizione è quella di non essere prettamente una mostra d’arte pur essendo ospitata all’interno di uno spazio pensato per accogliere pezzi artistici. Al suo interno troviamo infatti fotografie e video che non nascono con intenzioni di carattere estetico, sono semplice materiale d’archivio. Materiale prelevato dagli archivi da cui le intelligenze artificiali attingono per imparare a riconoscere i volti umani, etichettandoli secondo categorie stereotipate che da subito ci fanno riflettere. Interpellare autori come Foucault o Lyon in questo caso è più che lecito.

Tra quelle immagini infatti potrebbe esserci anche il nostro volto, regalato a qualche azienda grazie a stupidi giochini come Faceapp, con cui ci divertiamo a invecchiare noi stessi senza preoccuparci troppo di leggere le condizioni d’utilizzo dell’applicazione, autorizzando nel frattempo queste società a utilizzare liberamente le nostre immagini. La moda poi passa, ma la nostra faccia resta negli archivi. Trovarsi di fronte a questa mole di fotografie ha un che di disturbante, voyeuristico. Al tempo stesso sembra di tornare dritti dritti ai tempi della fisiognomica Lombrosiana.

Ciò che colpisce sono però le categorie utilizzate dalla macchina per riconoscere i diversi volti. A partire dal titolo, Training Humans, è chiaro che la mostra si porta dietro una carica polemica abbastanza forte. Dobbiamo infatti pensare che queste sofisticatissime intelligenze artificiali ragionano secondo stereotipi che hanno appreso dall’essere umano: catalogano un uomo a petto nudo come sodomita e un ragazzo barbuto come terrorista. È agghiacciante.
Abbiamo la presunzione di potere addestrare le macchine, ma prima di poterlo fare dovremmo rivedere i contenuti che intendiamo insegnare, per evitare che imparino lezioni sbagliate.
Link immagini: https://cutt.ly/4yWdyIA , https://cutt.ly/lyWdikd